Guerra in Ucraina, giorno 500. Testimonianza di don Moreno Cattelan

“Come non si può spegnere il fuoco con il fuoco, né asciugare l’acqua con l’acqua, così non si può eliminare la violenza con la violenza”. (Lev Tolstoj)

La guerra continua con il suo carico di morte, distruzione, allarmi quotidiani, bombardamenti e paura. Lo scenario iniziato il 24 febbraio 2022 è ben delineato. Milioni di persone hanno dovuto lasciare la propria casa fuggendo all’estero o cercando rifugio all’interno nelle città meno soggette agli attacchi giornalieri dell’esercito russo. La situazione che si delinea per il futuro è davvero complicata, difficile ed allarmante non solo per i nuovi scenari geopolitici che si stanno delineando ma soprattutto per lo sconvolgimento della vita quotidiana del popolo ucraino. Constatiamo, per esempio, giorno dopo giorno, l’aumento della povertà che colpisce non solo la fascia dei nullatenenti o senzatetto, ma anche anziani, famiglie, persone disabili o bisognose di cure mediche. Questa assurda guerra sembra protrarsi per le lunghe ma, nonostante tutto, il desiderio di normalità, di ripartire, di ricominciare, di ricostruire è più forte della paura di nuovi bombardamenti. Si guarda, seppur timidamente, già al futuro da inventare nonostante ci troviamo ancora in piena guerra.

Una guerra anomala che stiamo vivendo in prima persona. E con oggi sono già passati 500 giorni durante i quali abbiamo vissuto una esperienza decisamente singolare. Raccontarla, a volte, mi viene davvero difficile. Provo infatti, più i giorni passano, una specie di distacco da quanto sta accadendo. Come quando ti capita di vivere in una situazione di disagio o al limite del sopportabile e, giorno dopo giorno, cerchi di rimuoverla fisicamente e mentalmente. Ma poi mi ravvedo e sento che ho l’obbligo di raccontare, di informare. In questa guerra noi ci siamo dentro cercando di sanare le ferite inferte a milioni di persone, ferite ancora aperte che bruciano e stentano a rimarginarsi. Nel dialogo quotidiano con la gente sperimentiamo come il meccanismo perverso della guerra si ripete sempre uguale con il suo carico di morte, distruzione e paura. La guerra rafforza l’odio, che poi è difficile da superare e con cui è difficile convivere perché distrugge l’uomo. Ogni giorno leggiamo il Vangelo dove il linguaggio richiama, la pace, il perdono, la vita, la luce, e…sei ancora in guerra! Hai difronte un nemico, vedi solo immagini di morte e distruzione. Percepisci il buio dell’anima, dentro le parole da dire, i giudizi da pronunciare le azioni quotidiane. Ti rendi conto che sei in guerra anche con te stesso. Una guerra che si combatte non solo al fronte o in zone strategiche, ma dentro la coscienza di ognuno di noi. Per questo motivo negli incontri informali come durante le liturgie o in altri momenti cerchiamo di rincuorarci l’un l’altro; non sarà la paura né la disperazione a donarci la pace, ma un serio lavoro della ragione e della coscienza per prepararci già ora, responsabilmente, nei riguardi del futuro. Per questo, con cautela e criterio, cerchiamo di usare parole e compiere gesti che in qualche modo siamo un piccolo segno di riconciliazione e pace per tutti e con tutti. E vi assicuro, non è una impresa facile.

Con la guerra non si scherza, qui la paghiamo tutti i giorni sulla propria pelle. A caro prezzo. Il prezzo della presenza e del servizio che danno il coraggio per aprire la porta della paura e della disperazione. Una guerra “diversa” a seconda di dove ti trovi per cui credo sia importante fare una distinzione, per esempio, tra le zone occupate ed il resto del paese. Noi abitiamo a Kyiv. La città è stata colpita più volte dai bombardamenti, soprattutto durante i primi mesi di invasione, e in questo ultimo periodo, ma non sono stati registrati danni gravi a persone o edifici. Il grande disagio l’abbiamo vissuto durante lo scorso inverno a causa della mancanza di corrente elettrica. Per alcuni mesi le infrastrutture elettriche del Paese sono state prese di mira e distrutte sistematicamente causando lunghi blackout. Ci sono stati periodi durante i quali non abbiamo avuto la corrente elettrica anche per intere giornate di seguito. Quando la situazione si è un po’ più stabilizzata l’energia elettrica veniva erogata qualche ora alla mattina o alla sera. L’illuminazione pubblica era spenta, come i semafori per strada e tutte le indicazioni luminose. Buio pesto! E’ stato uno dei periodi più difficili e complicati. La vita quotidiana era stravolta. Quando c’eravamo abituati a convivere con questo disagio la corrente è tornata portando una certa normalità. Da maggio scorso hanno iniziato un nuovo stillicidio. Quasi tutte le notti vero le 3.00 iniziano i bombardamenti qui a Kyiv. Il sistema di difesa è riuscito finora ad intercettare ed abbattere quasi tutti i missili, droni e quant’altro viene lanciato solitamente dal Mar Nero o dalla vicina Bielorussia. Non sempre la difesa intercetta i missili e allora alcuni cadono colpendo anche abitazioni civili com’è successo qualche giorno fa nella “tranquilla” città di L’viv (Leopoli). Il suono delle sirene e il tonfo delle bombe che cadono o vengono disintegrate nel cielo è una cosa alla quale non mi sono ancora abituato. Sai che non sono i fuochi d’artificio della festa patronale ma un potenziale di morte e distruzione. 

Le martoriate città di Mykolaiv, Kherson, Mariupol’, Bakhmut, Kharkiv, a causa dei quotidiani bombardamenti e la guerriglia che infuria più aspra dopo il contrattacco iniziato qualche settimana fa, sono diventate “città fantasma”. La popolazione, soprattutto gli anziani, si mettono ancora in fila per ricevere gli aiuti umanitari. Non c’è acqua potabile e la popolazione riesce a dissetarsi solo grazie ad impianti provvisori o di emergenza. Sono città che, se da un lato guardano al futuro, sono ben consapevoli che domani potrebbe esserci un’altra invasione o l’ennesimo bombardamento. Più che ricostruire qui si preparano altri rifugi nei sotterranei dei palazzi. Ci si prepara al peggio, proteggendo con pannelli di plastica le finestre in modo da evitare che i vetri possano scoppiare durante i bombardamenti e ferire le persone. Da qualche giorno il pericolo nucleare che può derivare dalla annunciata esplosione della centrale nucleare di Zaporizzja ci tiene tutti in sospeso e in allerta. Sono giorni davvero difficili.

Nonostante l’annunciato contrattacco da parte dell’esercito ucraino, siamo ancora in una evidente fase di stallo. Tutti attendono che capiti qualcosa di nuovo o risolutivo non facile però da prevedere o descrivere. Sul “quando” ciò accadrà rimane sempre e comunque l’incognita del “come”. In questa situazione di incertezza la gente è stanca. L’attesa di un cambiamento è tiepida, c’è paura di illudersi. Sappiamo infatti tutti cos’è successo e, dove i russi sono arrivati, hanno seminato distruzione e terrore, uccidendo e scavando fosse comuni. Siamo forse noi ad avere un’immagine naïve della guerra. Loro no.

Credo sia questo il principale ostacolo che contrappone i due popoli rendendoli nemici, lontani nei sentimenti e nella comunicazione. Ostacolo che credo dipende dalla diversa percezione del conflitto e delle cause che l’hanno generato e continuano ad alimentare il fuoco che brucia ogni tentativo di mediazione risolutiva atta ad innescare un processo di pace vera e giusta. (Ma mi chiedo: “Esiste una pace vera e giusta?). La gente viene a confessarsi e mi chiede: “Come facciamo a perdonare?“. Oppure ti confida che hanno ospitato in casa dei profughi che continuano a ripetere la propaganda russa contro gli ucraini. Puoi dire loro qualche parola di conforto o di speranza, esortarli a pazientare, ma poi ci sono immagini terribili, storie inverosimili e tragedie familiari difronte alle quali non sai che dire o come uscirne. Cosa dici agli animatori dell’oratorio che hanno già perso due giovanissimi amici del gruppo (uno dei due, Oleh, disperso dall’estate scorsa) o hanno il papà in trincea a Bakhmut dove, come scrive il poeta Giuseppe Ungaretti: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Come placare il calvario di un anziano parrocchiano che tutte le domeniche viene a confessarsi e sfoga il suo dolore raccontando del figlio più giovane partito a settembre per il fronte e del quale non ha più notizie da mesi. Tenti di convincerlo che magari Bogdan sia stato fatto prigioniero, sia ancora vivo, ma ogni giorno che passa la lama della disperazione penetra sempre più profonda nel suo e tuo cuore. Cosa dici alle persone che ti confidano: “Da quando è iniziata la guerra non riesco più a pregare come prima…maledico questa guerra e chi l’ha iniziata”. Quasi ogni giorno Mykhailo, il giovane confratello ucraino che vive con me, mi informa: “Anche oggi è morto un mio compagno di scuola e sono già due…ieri hanno ucciso un mio vicino di casa; 23 anni!…hai presente Andry fratello di Roman; ci sarà il funerale domani…”. Una litania quotidiana. I corpi dei nostri soldati morti vengono raccolti e le salme consegnate ai famigliari per la sepoltura che si svolge in modo solenne e partecipato. Le salme dei soldati russi giacciono nelle trincee o dentro i carri armati bombardati, distrutti e abbandonati. Corpi mutilati, carbonizzati o resi già irriconoscibili perché morti già da mesi …Nessuno si cura di loro. Immagini che scuotono la coscienza e mettono a nudo l’atrocità della guerra che ha come prima conseguenza ha il permesso di cancellare quanto di umano e razionale c’è nella coscienza e nelle intenzioni delle persone. Si diventa altro. Scompare quanto di umano c’è in te per cadere immancabilmente nel baratro dell’irrazionale. Cosa pensare quando constati che i nostri bambini conoscono a memoria ogni tipo di bomba, di drone, di carrarmato e di fucile sgranando i loro nomi tecnici come noi da piccoli sapevamo tutti i nomi delle figurine dei calciatori… La guerra non si combatte solo al fronte, lanciando droni e missili a lunga e corta gittata o scavando nuove trincee nel ventre della terra. Questa guerra è dentro la nostra pelle ma soprattutto si annida nella coscienza della gente rendendola, a mio avviso, prigioniera di due convinzioni (discutibili) o legittime che siano. La prima è la netta convinzione che da questa tragedia se ne esce solo con la “vittoria” e cioè dopo aver ricacciato tutti i Russi dentro il loro confine legittimo. Il motivo non è solo legato ad una questione di territorio, per la casa, per la terra, ma per la libertà di essere sè stessi. Il popolo ucraino ha sempre vissuto all’interno di qualcosa di più grosso che lo schiacciava. Proprio per questo stanno ora lottando: per il diritto di essere loro stessi a scegliere come vivere e decidere del proprio futuro. E in questo senso la gente è sicura di non poter perdere. Mi rimane sempre nebuloso questo concetto (certezza) della “vittoria” che, qualora avvenisse, innesca comunque la seconda convinzione che descriverei in questi termini: tutti adesso hanno capito che la guerra andrà per le lunghe. Ma forse la vera questione non è nemmeno la durata, ma il fatto che pur vincendo, il nostro vicino non scomparirà. Ci sono tante persone che, vestendo i panni dei liberatori, sono convinte che si sta facendo un’opera buona. La pace prima o poi verrà ma sarà importante andare avanti tenendo presente che dovremo convivere sempre con questo “vicino di casa”, cercando di capire cosa fare affinché non ci ripensi e non attacchi di nuovo.

Percepiamo queste convinzioni in un contesto ancora carico di paura, amarezza e delusione, aspettando una pace che tarda a vincere mentre armi, droni, bombe, carri armati dettano l’agenda della più assurda delle azioni al grido di: “E guerra sia!”. La guerra ti trasforma e ti distrugge, come la goccia che cadendo lentamente, giorno dopo giorno, ferisce la pietra. Per questo motivo fin dall’inizio non abbiamo lasciato l’Ucraina e le nostre attività pastorali e di promozione sociale, consapevoli che anche la semplice presenza può smuovere le coscienze. Nonostante le difficoltà legate alla situazione attuale continuiamo la nostra opera missionaria che, fin dai primi giorni di guerra non si è mai fermata; all’inizio per dare una prima accoglienza e sostegno morale e materiale ai profughi (soprattutto donne, bambini e persone con disabilità) costretti a scappare dai territori del Donbass e non solo, e ora cercando di farci prossimo offrendo un aiuto umanitario a tanti poveri e senza tetto, avvicinando bambini, ragazzi e famiglie creando per loro e con loro momenti di incontro, confronto e svago. In particolare siamo impegnati su quello che abbiamo definito il “fronte della carità” prestando un aiuto materiale a persone meno abbienti. Questo tipo di servizio era iniziato prima della guerra ed interessava una quarantina di “senza fissa dimora” ai quali davamo un pasto caldo due volte alla settimana. A tutt’oggi garantiamo questo tipo di assistenza a più di 200 persone, dando loro anche medicinali, materiale per l’igiene personale ed indumenti. Al gruppo iniziale si sono ora aggiunte molte altre persone soprattutto anziani, profughi, persone con disabilità che traggono giovamento da questo piccolo servizio che continuiamo a svolgere grazie all’aiuto concreto che viene da alcuni amici in Italia tramite l’invio periodico di materiale utile. Con noi collabora anche la Caritas della arcidiocesi di Kyiv e un piccolo gruppo di volontari che ha la caratteristica di essere interconfessionale. E’ formato infatti da persone appartenenti alla chiesa greco-cattolica ucraina, ortodossa e protestante quasi a voler sottolineare che la carità e solo la carità è la via sicura per vincere le divisioni colmando i solchi delle differenze, ingiustizie e prevaricazioni che sono la radice di ogni, odio, contrasto ed egemonia. Un servizio similare, anche se con modalità diverse, si fa anche a L’viv. Inoltre sono già iniziati dei campi estivi (Grest) organizzati dal nostro chierico Mykhailo con la collaborazione di un piccolo gruppo di animatori, in alcune zone dove la guerra infuria e non tutti hanno voluto o avuto la possibilità di lasciare il proprio paese o la città. Un piccolo segno di normalità ma soprattutto una sfida per vincere la paura e creare momenti di serenità per tanti bambini e ragazzi che da mesi sono costretti a fare i conti con gli allarmi quotidiani, le lezioni a distanza, le bombe che distruggono non solo case e persone ma anche i loro sogni, mentre guardano i carri armati che passano sotto le loro finestre…

Da tutta questa esperienza ancora in atto sono due le cose che conservo come tesoro: “Cercare e credere all’ umano che c’è in ciascuno di noi, nonostante tutto e, come sappiamo che i metalli più resistenti sono delle leghe, così davanti a questa prova, credo sia urgente legare solidarietà, libertà e coraggio”. Cercare insieme la via non tanto della pace vera e giusta, ma la via della “pace evangelica” chiesta in questi mesi da Papa Francesco. 

Non è sufficiente “tener duro” ma “tenersi stretti gli uni gli altri” cercando in questo modo non solo di sopravvivere, ma di valorizzare in tutti i modi la risorsa della carità-solidarietà. Una energia nuova che offre, sempre e comunque, soluzioni concrete pur in condizioni di emergenza. Perché da soli non ci si salva.  

don Moreno Cattelan – missionario dell’Opera don Orione

Foto copertina Ansa