Con don Luigi, un bel “esercizio di fraternità”

Siamo partiti giovani preti trentenni, come missionari “fidei donum” per l’Ecuador, inviati con la consegna del crocifisso il 19 giugno 1988, dal vescovo Filippo, commosso e in lacrime, già minato dal male incurabile che lo portò alla morte alla fine dell’anno.

Quell’anno l’incontro annuale di festa dei missionari padovani e degli animatori dei gruppi missionari, che tuttora prosegue, si svolgeva nei padiglioni della Fiera di Padova. Lo slogan era un’intuizione che anticipava il volto nuovo della Missione e della Chiesa che in questi anni abbiamo imparato a vivere: “Là dove vive l’uomo!”

Infatti non si sceglie di essere missionari, ma si è inviati “tutti” in nome del nostro Battesimo là dove vive ogni uomo e donna di oggi, nelle realtà più quotidiane della vita e soprattutto là dove l’uomo vive sfigurato dalla vita dura, dalla miseria, dall’ingiustizia e dal male. E qualcuno è inviato da una Chiesa ad un’altra Chiesa nello stile della cooperazione e nel “dono reciproco della fede”.

Con Luigi, di tre anni più grande di me, non c’era grande simpatia negli anni del seminario. Da quei primi incontri di preparazione alla missione che ci attendeva, nacque “un bel esercizio di fraternità” che poi nella vita quotidiana in missione si fece intenso, significativo e veramente fraterno.

Il vivere insieme nella stessa casa a Carcelèn nei primi anni, il confrontarci quotidiano sulle scelte da fare e sulle piccole cose del vivere insieme, il dialogo aperto e franco, il mettere insieme le nostre diversità (Luigi più pratico e saggio, io più “pastorale” e idealista!), il pregare insieme, il lavoro manuale per la costruzione delle chiese di Carapungo e Carcelèn Bajo e dei centri pastorali, qualche viaggio fatto insieme come alle Isole Galapagos e a Lima o i momenti di distensione e piccole gite con le suore Elisabettine che lavoravano con noi…, hanno affinato il nostro stile fraterno.

Quando si trattò di assumere l’incarico di parroco per tutti e due, facemmo la proposta al nostro vescovo di Quito Antonio Gonzalez di stendere la nomina in questi termini: “Don Valentino parroco di Carcelèn e vicario parrocchiale di Carapungo, don Luigi parroco di Carapungo e vicario parrocchiale di Carcelèn”.

Il vescovo accetto e fu un segno della sintonia fraterna del nostro vivere missionario e del nostro ministero fraterno.

Ci siamo davvero voluti bene come fratelli, passando anche per momenti difficili e dolorosi come la malattia e la morte del suo papà e le sue prolungate assenze dalla missione. Successivamente la morte improvvisa del mio papà con la scelta di ritornare definitivamente in diocesi nel 1994. Poi la sua morte tragica, 20 anni fà, quando ormai lo aspettavo in diocesi, come anche lui aveva deciso, mi ha fatto ulteriormente soffrire…

La nostra fraternità ci faceva pensare in grande e sognare.

Insieme avevamo pensato e proposto il progetto dei missionari laici “fidei donum”, in particolare delle famiglie. Il progetto poi si realizzò, con il primo invio della famiglia Pizzati Alessandro con Marta e il piccolo Pietro nelle nostre parrocchie di Quito in Ecuador.

Sì, è possibile vivere la fraternità tra preti e sperimentare che la fraternità, se è vera, diventa universale.

Certamente c’è bisogno di allenamento ed esercizio quotidiano fatto di semplicità, essenzialità, accoglienza della diversità dell’altro, di dialogo, confronto, umorismo, gioia di stare di insieme gratuitamente e nella distensione…

L’esperienza missionaria è un grande dono e un valore aggiunto per il nostro essere preti e per il nostro ministero. È un sano e “generativo” esercizio di fraternità per la nostra diocesi.

Se mancasse, la nostra Chiesa di Padova, sarebbe più “povera, meno universale e meno ‘missionaria’”.

 Don Valentino Sguotti


Don Valentino è stato missionario fidei donum in Ecuador, ora parroco di Villatora