A Robe: molto più di un campo scuola!

Tre settimane in Etiopia per un corso di inglese e un campo scuola: sono partite con questi obiettivi due giovani di Padova, Eliana Benvegnù ed Elisa Borgato, e sono tornate arricchite di sorrisi e di lezioni di vita.  Ci scrive Liana Benvegnù:


“A metà aprile è arrivata una chiamata inaspettata, un invito diverso dal solito… un corso d’inglese e un campo scuola nella nuova missione diocesana in Etiopia.

Facendo due conti del periodo e dei programmi per l’estate, non avevo valide motivazioni per dire di no… ho preso la palla al balzo. Tre settimane per un’esperienza di missione che m’incuriosiva da un po’.

E se qualche volta manca il coraggio o l’intraprendenza per cercare un’opportunità così, se il Signore l’ha inserita nel tuo progetto di vita e di crescita, prima o poi sarà lei a trovarti!

È sempre il contrario di quello che pensi…” mi piace citare questa mia frase pronunciata spontaneamente durante un pranzo conviviale ad Awasa per riassumere tutto quello che ho potuto vivere e sperimentare in Etiopia, in queste tre settimane.

Tutti i miei stereotipi sull’Africa sono stati spazzati via da abbracci, sorrisi, lacrime di gioia e un’attenzione all’ospite infinita. L’accoglienza africana è davvero impagabile!

Le differenze linguistiche, che sembrano un ostacolo insormontabile, sono facilmente superabili con l’affetto e qualche gesto. E se qualche volta si viene fraintesi, ci si prende in giro, ci si abbraccia e si ricomincia!

L’istinto materno di proteggere, curare e accudire, è però un linguaggio internazionale e l’ho potuto sperimentare con Amatè, la signora che cucinava e si occupava della casa di Adaba (dov’eravamo ospitati), durante un giorno di malessere e grazie alla sua strepitosa cucina.

A differenza di altri viaggi, non ho mai provato e mai sentito la nostalgia di tornare, ma mi sono sempre sentita a casa. Sembrava quasi di essere ritornata alle origini, dove ciò che conta è l’essenzialità della persona. Altro che impegni, riunioni, agenda, cellulare, incastri di cose… ritmi tranquilli, poca frenesia, solo ciò che è davvero indispensabile per la giornata…

Il buio arriva presto, le distanze sono sconfinate, non ci sono occasioni di svago e spesso manca la corrente, quindi ci si ferma per forza… Ti ferma la natura!

E finalmente capisci quanto l’uomo sia impotente di fronte a tutto ciò.

Si creano belle occasioni di dialogo e di ascolto, di condivisione, ci si ritrova seduti attorno ad un tavolo a chiacchierare. Ognuno libero di dire la sua, ognuno attento ad ascoltare, rispettoso.

Nel nostro moderno mondo occidentale abbiamo perso questa considerazione, abbiamo perso l’interesse ad ascoltare l’altro. C’è ansia, c’è bisogno di sfruttare tutto il tempo per fare cose…

Il valore aggiunto, che ha contribuito a rendere unica quest’esperienza, sono stati sicuramente i nostri missionari che ci hanno accolte e ci hanno fatte amalgamare in un’equipe unita, affiatata e collaborativa. Una “famiglia adottiva”, che si è compensata facendo emergere i talenti e i carismi di ognuno, scherzando sulle proprie debolezze, rispettando i tempi e gli stili diversi… si è riusciti a creare in pochi giorni un legame forte e indissolubile, che rimarrà nel tempo.

La cosa più importante è stata riuscire a ritagliarsi del tempo per condividere in maniera informale le attività e le difficoltà del giorno, le proprie vite, ma anche le prospettive future, le fatiche e le sfide che la missione pone ogni giorno. Per raggiungere assieme alla conclusione che i paesaggi, le culture e le lingue sono diverse, ma certe dinamiche, complicazioni e paure quotidiane sono le stesse in tutto il mondo.

Liana Benvegnù